Cari amici di emigrati.it

di Giuseppe Casamassima

Marcinelle, Le Bois du Cazier: un braccio delle miniere di carbone

Marcinelle, Le Bois du Cazier: un braccio delle miniere di carbone




Cari amici di emigrati.it,

navigando tra le pagine del vostro sito, mi sono soffermato con particolare interesse su quelle che parlano del grande esodo migratorio degli italiani. E, a tal riguardo, vorrei fare alcune doverose osservazioni.

Nel sito viene giustamente ricordato che, a partire dal 1861 fino ad oggi, milioni e milioni di italiani hanno abbandonato la nostra penisola per andare a trovare un lavoro all’estero. Poi, però, si afferma che (cito testualmente) «[…] Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane.

Tra il 1876 e il 1900 l'esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali con tre regioni che fornirono da sole il 47 per cento dell'intero contingente migratorio: il Veneto (17,9), il Friuli Venezia Giulia (16,1 per cento) e il Piemonte (12,5 per cento) […] ».

Questa affermazione, benché sia precisa nel riportare il puro e semplice dato numerico, risulta assai fuorviante per comprendere la “sostanza” del fenomeno migratorio italiano. Intendo dire che se è vero che «Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane», ciò avvenne solo a partire dal 1861, cioé dopo che fu compiuta l’unità d’Italia; e se è vero che «tra il 1876 e il 1900 l'esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali », ciò è vero solo in quanto fino al 1861 l’esodo interessava quasi unicamente le regioni dell’Italia settentrionale.

Insomma, sembra quasi strano a dirsi, ma la piaga dell’emigrazione era un fenomeno riguardante esclusivamente il Nord Italia, che fu trasferito al Sud solo in seguito alla fine del Regno borbonico.

Ancora fino al 1880, l'80% degli emigranti italiani proveniva dal Nord, il 7% dal Centro e solo il 13% dal Sud.
Ma già tra il 1880 e il 1925, si registrò una netta inversione di tendenza a sfavore del Meridione: su un totale di 16.630.000 italiani partiti per l'estero, la percentuale degli emigranti settentrionali si abbassò sensibilmente al 50% (8.308.000, di cui ben 3.632.000 veneti), mentre la percentuale degli emigranti meridionali addirittura si triplicò, salendo al 39% (6.503.000 unità) !



Del resto, questa pura e semplice verità si può cogliere ancora più facilmente non appena si guardi con diversa attenzione alla stessa tabella, presente nel sito, che riporta i dati ufficiali dell’ISTAT sui flussi migratori regione per regione. Sono gli stessi dati che parlano chiaro: nei due periodi presi in considerazione, quello tra il 1876 e il 1900 e quello tra il 1901 e il 1915, fatta eccezione per l’Emilia, tutte le regioni settentrionali registrano una decremento relativo del loro flusso migratorio. Pur a fronte di un aumento in termini assoluti, nel periodo 1901-1915, del numero complessivo degli emigranti di ben 3.511.838 unità in più rispetto al precedente periodo 1876-1900, le regioni settentrionali risultano coinvolte in questo esodo con percentuali relative assai minori. Infatti, come si può vedere, anche le regioni tradizionalmente colpite dalla piaga dell’emigrazione (Piemonte, Veneto e Friuli) registrano una sensibilissima contrazione relativa dei loro flussi migratori:

Regioni
1876-1900
1901-1915
Piemonte
13,5 %
9,5%
Lombardia
9,9%
9,4%
Liguria
17,9%
10,1%
Veneto
2,2%
1,2%
Friuli Venezia Giulia
16,1%
6,4%
Toscana
5,5%
5,4%

Di contro a questa tendenza relativamente positiva delle regioni settentrionali, le regioni meridionali subirono invece un brusco inasprimento dei loro flussi migratori – sia in termini assoluti che in termini relativi. Non v’è dubbio che, mentre il Piemonte, l’ex feudo dei Savoia, riuscì ad arrestare la sua tradizionale emorragia migratoria grazie alle nuove politiche economiche e finanziarie dell’Italia unita, per colpa di quelle stesse politiche concepite ed attuate dall’entourage savoiardo tutte le regioni meridionali dell’ex Regno delle Due Sicilie subirono, invece, un drastico peggioramento delle loro condizioni di vita. In questo nuovo quadro generale negativo, furono la Sicilia e la Calabria a subire i maggiori salassi. Infatti:

Regioni
1876-1900
1901-1915
Abruzzo
2,1%
5,5%
Campania
9,9%
10,9%
Calabria
5,2%
6,9%
Puglia
1,0%
3,8%
Sicilia
4,3%
12,8%

E’ quasi superfluo sottolineare che questa svolta negativa per il Mezzogiorno, realizzatasi negli anni immediatamente successivi all’unificazione politica dell’Italia sotto il trono dei Savoia, ha continuato a produrre, ininterrottamente, i suoi effetti nefasti fino ai nostri giorni.

Mi sono sentito quasi in obbligo a rendere note le suddette osservazioni in quanto, solo qualche settimana fa, è stato pubblicato a San Giovanni in Fiore l’Epopea di un disertore, un breve componimento in versi di Francesco Scarcelli che narra le vicissitudini di suo nonno, Domenico Scarcelli, il quale venne chiamato alle armi durante la prima guerra mondiale e, a contatto con gli orrori della guerra e la durezza inumana della vita in trincea, ottenuta una licenza, si diede alla macchia e non fece più ritorno al fronte.

Ora, come si sa, l’Epopea di un disertore è accompagnata da una mia Introduzione. Lo studio che mi ha richiesto la sua stesura è stato per me un’occasione importante per ritornare a riflettere con maggiore attenzione su una serie di problematiche storico-sociali inerenti al processo di unificazione politica dell’Italia e, in maniera particolare, sul peggioramento assoluto delle condizioni di vita delle genti meridionali che si verificò a partire da quegli eventi. Alla fine, ne è venuta fuori una ri-considerazione di alcuni aspetti centrali della “questione meridionale” del tutto coerente, ma decisamente contro-corrente rispetto a tutta una congerie di miti patriottico-risorgimentali che ci viene ancora oggi inculcata da tanti, troppi libri di storia.

Tuttavia, questa serie di osservazioni contro-risorgimentali che ho sviluppato, partendo dalla considerazione del fenomeno del brigantaggio come una vera e propria “guerra civile” delle genti meridionali contro gli invasori savoiardi, per motivate ragioni editoriali è presente solo in minima parte nella Introduzione che accompagna l’Epopea di un disertore di Francesco Scarcelli. Colgo quindi con vero piacere il vostro invito a pubblicarla in maniera completa e, a scanso di ogni possibile equivoco, preciso fin d’ora che non ho mai avuto delle simpatie politiche filo-borboniche. Semplicemente, non ho fatto altro che ricercare la verità storica. E questi sono i risultati.

Inoltre, vorrei approfittare ancora della vostra disponibilità per rendere giustizia a una nota a piè di pagina della mia Introduzione, che è stata maldestramente tagliata nella fase di revisione delle bozze dell’Epopea di un disertore.



In apertura del II paragrafo “Uno spaccato di storia sociale” ho sostenuto che: «Sullo sfondo della vicenda personale di un semplice contadino chiamato a partecipare alla Grande Guerra, l’Epopea di un disertore ci offre la possibilità di gettare uno sguardo sulla storia sociale di San Giovanni in Fiore e, in particolare, sulla vita quotidiana degli strati popolari, dando così un ulteriore contributo a colmare una lacuna della nostra storia locale che solo negli ultimi anni ha iniziato ad essere considerata con maggiore attenzione».

Bene, a questo punto, nelle mie intenzioni, vi sarebbe dovuta essere una nota (che riporto qui di seguito così com’era). Pur non essendo affatto esaustiva sull’argomento, essa non rappresenta solo un giusto riconoscimento verso coloro che, prima di Francesco Scarcelli, hanno dedicato ben di più di un qualche sporadico interesse verso la storia sociale di San Giovanni in Fiore, ma sta anche a indicare che ogni futuro lavoro, in merito alla nostra storia locale, non significa più scrivere a partire da una tabula rasa.

Infine, per toccare direttamente il tema dell’emigrazione, vorrei proporvi la lettura di un breve brano estrapolato dalla mia Introduzione al libro di Scarcelli (anche, ma non solo, per fare ad esso un po’ di pubblicità!).



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