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L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia

Prefazione di Franco Spina


L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia

Prefazione

Leggere uno scritto, vedere un film, ascoltare una storia, nella/nel quale protagonista principale è la sofferenza, provoca nello stato d'animo del lettore/spettatore/uditore una compartecipazione al dolore tale da renderne sofferente la fruizione stessa. E' una sensazione che si prova quando la sofferenza, tra le tante, ingiustamente si perpetua si perpetua ai danni di qualcuno/qualcosa.

da "Le città della Gojia": Partenikos, Francesco Saverio Alessio, 2002

Recentemente ho sperimentato che tale sofferenza può diventare insopportabile anche leggendo un testo a carattere prevalentemente tecnico-scientifico, nel nostro caso psichiatrico-antropologico. Spiegheremo i motivi di ciò tentando di descrivere del testo considerato alcuni nuclei fondamentali, tra i tanti.

La particolare sofferenza è legata certamente a un motivo. Lo scritto, del quale parleremo e di cui mi accingo a curare la prefazione, ha come oggetto di ricerca il fenomeno dell'emigrazione osservato sotto l'aspetto psicopatologico - nel lato più inquietante, quello della sofferenza psichica.

Il motivo che dicevamo è legato all'oggetto studiato; ma a rendere sofferente la mia lettura è stato l'essermi sentito coinvolto personalmente. Se da un lato lo scritto è il frutto di una ricerca avvenuta proprio nel contesto dove sono nato e vivo, dall'altro anch'io ( fra i tanti ) ho subito, da bambino l'amarezza profonda legata all'esperienza migratoria di mio padre. Leggendo questo testo ho rivissuto nella memoria, chiaramente, certi particolari e tristi segmenti temporali.

Lo scritto è capitato sotto mano in modo casuale. Inizialmente ero molto scettico sulla probabile importanza, questo perché sinceramente la produzione "locale e sul loco" mi ha abituato a diffidare della presenza di studi di grande qualità.

Dalle prime pagine la mia diffidenza si è dileguata. Quasi meravigliato mi sono reso conto che qualcuno aveva scritto qualcosa dal contenuto di eccezionale importanza e dalla forma abbastanza ricercata.

Immediata la mia reazione, d'istinto la prima riflessione: perché nessuno si è accorto che esiste un lavoro del genere! Nemmeno nell'informazione locale in questi anni è stata riportata la benché minima citazione.

Mi è parsa lampante una mia vecchia considerazione riguardo ai problemi che connotano questo posto: al di là delle sporadiche manifestazioni legate alla sola figura di Gioacchino, persiste essenzialmente un deficit di cultura, per cui non esiste promozione e crescita.

Ecco perché si è tanto distratti da lasciar passare sotto lo sguardo indifferente dell'istituzione e della classe politica che un testo così interessante possa essere condannato al silenzio e "al fascino immemore dell'agnosia".

Pur rimanendo convinto di quanto finora detto, ritengo possibile accanto a questa anche un'altra linea di spiegazione più sottile e profonda che vale la pena "riportare" perché è proprio dal nostro scritto che viene presa a prestito. Salvatore Inglese, l'autore in questione, chiarisce a se stesso e a noi che il non voler prendere in considerazione qualcosa, anzi isolarne la disponibilità a parlarne, mal tollerare chi vorrebbe farlo, può essere causato da un meccanismo di rimozione collettiva.

Questo è quanto sperimentava chi tra l'82 e il '90 si trovava a coniugare pratica assistenziale psichiatrica e ricerca nel territorio di San Giovanni in Fiore, riuscendo casualmente a svelare il motivo per cui un centro abitato possa connotarsi come un "luogo richiuso in se stesso, avvolto intorno ad un segreto invisibile, claustrale e claustrofobico". Il motivo svelato è appunto il fenomeno dell'emigrazione di massa che colpisce in profondità l'humus psicologico collettivo e individuale del posto.

L'inizio della rimozione del fenomeno, per Inglese, è sostanzialmente legato all'episodio tragico di Mattmark. In seguito, come vedremo, quando chiari diventano i vissuti psicopatologici individuali e collettivi, è il fenomeno in se a rappresentare "un esempio dissuasivo dalla tentazione di intraprendere una nuova avventura esistenziale fuori dai confini tradizionali".

Dunque è il fenomeno stesso ad essere investito dalla rimozione psichica. Il fatto insolito è che la rimozione continua a rimanere salda anche quando si tenta di farla affiorare in superficie. Essa è continuamente spinta a interiorizzarsi perché il problema dell'emigrazione, al quale è legata, non può essere considerato superato; esso continua a sussistere tuttora, "come scelta di sopravvivenza", in un luogo dove le risorse, anche quelle poche che ci sono non vengono sfruttate.

Chiarito questo punto il ricercatore nella sua esperienza assistenziale si trova di fronte tutto il problema sostanziato dal dato clinico.

Nel censimento di 500 casi psichiatrici riscontra che tutti o quasi sono legati direttamente ( la maggioranza ) e indirettamente all'esperienza migratoria; perciò ritiene corretto scegliere una linea di ricerca basata sostanzialmente sulla "narrazione anamnestica", abbandonando un tipo di ricerca antropologica iniziale improntata prevalentemente nella dimensione del magico, "entro l'orizzonte mitico - rituale".

Dalla "biografia minuta dei pazienti dalla correlazione e dai contatti con i contesti familiari si è imposta alla osservazione la salienza di un segmento storico che la maggioranza dei pazienti possiede in comune": l'esperienza migratoria.

Tutta la ricerca sarà indirizzata a percorrere il groviglio sintomatologico, diagnostico, del disturbo mentale e questo funzionerà a sua volta come "punto di osservazione privilegiato per la comprensione dell'antropologia sociale".

Il testo infatti insiste, nel suo svolgersi, nel ritornare ad evidenziare l'esistenza del legame a doppia trama fra sorti dell'individuo e della collettività. A cominciare dal nucleo familiare siamo alla presenza di un "movimento pendolare" circolare del "flusso comunicativo" fra individuo e gruppo tale che "tutti i codici di funzionamento vitale della collettività vengono sollecitati e messi in discussione". Gli effetti perturbatori duraturi e permanenti, oltre a sconvolgere il normale sviluppo della vita psico - sociale, addirittura investono il territorio di provenienza.

Per effetto dello sradicamento forzato il salario si pietrifica "in abitazioni deserte ed abusive"."Più si è costretti al movimento, più si scava nella roccia e si eleva una scheletrica identità stanziale", e i guadagni ottenuti all'estero non vengono investiti in servizi e nemmeno in strutture produttive, ma "esclusivamente nell'edilizia con la motivazione di assicurare un tetto ai figli".

Dunque del malessere psichico è investito l'intero gruppo, sebbene è maggiormente nell'individuo e nel nucleo familiare che vengono vissuti, a diversi livelli, gli scompensi psicologici. Tracciata la tipologia delle varie "combinazioni generazionali forzate" si vede a cosa è legato lo scompenso bidirezionale: di chi parte, di chi resta.

Subire lo sconvolgimento degli scambi affettivi, il vivere condotte relazionali alterate precipita sempre più i soggetti interessati verso varianti disadattive, le quali influiscono negativamente sulle prestazioni cognitive, sulla costruzione dell'identità ( sessuale e non ), sulla costruzione della realtà.

Anche la trasmissione culturale alle nuove generazioni ne risulta invalidata - perché spesso "la successione storica delle generazioni viene alterata da uno o più salti generazionali", risultano delegittimati i valori culturali autoctoni, in definitiva lacerato il "continuum esistenziale".

Questi sinteticamente, i nuclei fondamentali dello scritto. Esso, pur svolgendosi in alcune decine di pagine, sviluppa esaurientemente distinzioni e spiegazioni, presenta spunti di riflessione che meritano una lettura attenta e profonda. Spero in questa prefazione di aver reso al meglio o almeno convinto sul valore di questo lavoro.

Ringrazio Giuseppe e Marco della LegAmbiente di San Giovanni in Fiore per essere stati solidali ed aver condiviso, quanto me più di me, l'importanza, almeno il tentativo di togliere questo scritto dall'oblio in cui sicuramente sarebbe fatto rimanere.

Franco Spina

San Giovanni in Fiore, giugno 1995


Salvatore Inglese

L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia

(ricordi e riflessioni di un'esperienza sul campo)

tratto da I fogli di Oriss, n° 1, 1993

Presentazione

Marco Bilotta, Giuseppe Gallo

Prefazione

Franco Spina

Pagine: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14

L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia - copertina

Il libro tenta di descrivere il senso pluriverso di un itinerario conoscitivo costruito sulla pratica assistenziale svolta nel territorio di San Giovanni in Fiore.

Lo scritto ha come oggetto di ricerca il fenomeno dell'emigrazione osservato sotto l'aspetto psicopatologico, nel lato più inquietante: quello della sofferenza psichica.

La conoscenza spesso si accompagna ad una condizione di impotenza poichè comprendere una realtà non contribuisce decisamente a trasformarla.

Forse il ricercatore deve accettarla con semplicità, se non addirittura difendere il verso positivo del proprio egoismo epistemico.

L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia - Pubblisfera Edizioni

[...] La ricchezza relativa derivante da lavoro salariato prestato dagli emigranti, si ostinava a pietrificarsi in abitazioni deserte ed abusive [...] la pietrificazione del salario rivelava anche la necessità di contrastare, rovesciandola nel suo contrario, l'angoscia della scomparsa conseguente all'esodo obbligato. In questo territorio, più l'emigrazione viene patita come sradicamento, o nomadismo coatto, più si demarcano nuove fondazioni domestiche. Più si è costretti al movimento, più si scava nella roccia e si eleva una scheletrica identità stanziale.


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