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L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia

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L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia

All'inizio della mia attività assistenziale i casi erano pochi e tutti provenienti dal ventre digestivo del manicomio il quale espulse una quota residuale prodotta dalla tragedia dell'internamento all'indomani della promulgazione della legge nazione di riforma psichiatrica.
Si trattava appena di una quarantina di casi.

Nel corso del tempo è stato possibile censire almeno cinquecento casi psichiatrici che rappresentano , comunque la punta emergente di un iceberg epidemiologico la cui massa resta nascosta.

Intorno a questa popolazione di pazienti si riescono ad offrire le seguenti considerazioni:

- La maggioranza racconta un'esperienza migratoria vissuta in prima persona, mentre la quota restante è costituita da individui i cui congiunti sono emigrati.

- Al momento dell'osservazione, la maggioranza dei casi è diagnosticamene riconducibile all'area dei disturbi psicotici.

- Il primo scompenso psicopatologico si manifesta sul territorio ospitante e nel corso di una attività lavorativa.

- Lo scompenso subentra, pressoché invariabilmente, in rapporto ad eventi di vita significativi. Tali eventi possono essere, indifferentemente, positivi ( gratificazioni professionali ed economiche, acquisto di proprietà, fidanzamento, matrimonio), o negativi ( lutti, malattie somatiche, infortuni, licenziamento, sanzioni disciplinari, conflitti intra - e - inter - gruppali ).

- Viene prevalentemente colpita l'età giovane adulta, in qualsiasi momento della permanenza all'estero.

- Alcuni casi si dichiarano in età più avanzata, epoca in cui si manifesta un grave senso di insicurezza sostenuto da precarietà fisica, economica, o dalla solitudine. Gioca un ruolo dirompente l'angoscia di morte imminente che sostiene il desiderio di tornare a morire là dove si è nati.

- Vengono indifferentemente colpiti i due sessi.

- Le donne migrate denunciano una prevalenza di disturbi psicotici, mentre quelle residenti manifestano disturbi nevrotici tendenzialmente intrattabili.

- Il livello di scolarizzazione e di qualificazione professionale non si costituisce come fattore di protezione dal disturbo mentale. Aumenta tendenzialmente la quota dei pazienti in quel segmento della popolazione emigrata che, nel corso dell'attività lavorativa, ha acquisito nuovi strumenti culturali.

- I coniugati rappresentano la quota maggioritaria dei pazienti, mentre il vincolo matrimoniale viene regolarmente spezzato dall'emigrazione. Sono significativamente presenti le coppie emigrate in cui ambedue i coniugi manifestano, contemporaneamente o successivamente, disturbi mentali.

- Sono in costante crescita i casi registrati a carico degli emigrati di ritorno che scontano un sentimento di estraneità dal contesto originario.

- Nei giovani emigrati, soprattutto in quelli di seconda generazione, si manifestano disturbi mentali sostenuti dall'uso di sostanze stupefacenti.

Battaglia - Gerardo Civenti

Nel suo insieme la casistica esplorata si declina nelle grandi derive paranoidee, confusionali e melanconiche; lungo quadri nevrotici sfumati e invalidanti: sinistrorsi, disturbi psicosomatici e ipocondriaci.

I disturbi somatici e gli infortuni sul lavoro ricorrenti consolidano il nucleo della subentrante lamentosità e dell'invischiante querulomania assistenziale ( nevrosi da indennizzo ).

Forme depressive, procrastinate e tardive possono presentarsi dopo lunghi anni di apparente benessere, addirittura dopo un certo tempo dal rientro in patria.

Lo scompenso psicotico dell'emigrante non si avvita inizialmente intorno ad una configurazione psicopatologica pura e irreversibile.

La maggioranza dei casi osservati mantengono per diverso tempo una propria plasticità formale che ne permette il passaggio turbinoso all'interno di dimensioni nosologiche sempre cangianti ed aleatorie ( de Almeida 1975 ).

I disturbi che assumono caratteristiche sindromiche tipiche e stabilizzate rinviano alla persistenza di fattori ambientali sfavorevoli, quali la perdita dei diritti prima garantiti nel contesto adottivo, la scarsa qualità riparativa del gruppo etnico e familiare, la carente dotazione strutturale di partenza, le cure inadeguate.

A questo punto il trasferimento in paesi formalmente ospitanti ma sostanzialmente ostili può fare esplodere reazioni comportamentali incontenibili ed idiosincrasiche.

L'aggregazione e la sinergia di questi elementi costringono l'emigrante a percorrere i territori della catabasi psicotica e i molti luoghi della cronicizzazione istituzionale.

I caratteri paranoidei della psicosi prevalgono nei pazienti esposti direttamente allo sradicamento culturale.

La società di appartenenza riconosce l'individuo malato come un corpo estraneo non più assimilabile e in quanto tale da segregare all'interno della comunità o da confinare nello spazio istituzionale.

I temi deliranti trasmutano nella patomorfosi delle macchine influenzanti, attive nello spazio - tempo del paese ospitante e il cui potere riesce a proiettarsi sul territorio di provenienza dell'emigrante (Tausk 1979).

In questo clima di generale laicizzazione delle tematiche deliranti, le angosce persecutorie appuntate sul "malocchio" e sulla "fattura" si offrono come variante tematica recessiva, espressa dalla disposizione sensitiva di coloro che hanno scalato gli stadi dell'istruzione umanistica o tecnico - scientifica.

L'incremento dei disturbi dell'umore si organizza nella costellazione delle forme distimiche ad impronta reattiva conseguenti all'infinita teoria dei lutti, delle partenze e degli abbandoni.

Forme specificamente riconoscibili a carico della popolazione emigrata sono le:

a) Depressioni procrastinate ( Grinberg e Grinberg 1984 ), slatentizzate dall'esaurimento delle difese maniacali;

b) Depressioni del ritornato, sostenute dall'incapacità soggettiva a riorientarsi nel contesto originario di cui non si accetta, o si nega, il mutamento;

c) Depressioni delle vedove bianche, dovuti ai vissuti di perdita alimentati dalla coniugalità ( e dalla maternità ) spezzata.

Una particolare tonalità fobogena si sprigiona dal mondo dei morti che ritornano nello spazio dei viventi ad esercitarvi una funzione persecutoria.

Questo sembra accadere a causa della degradazione dei rituali funerari tradizionali per mezzo dei quali si operava l'elaborazione collettiva del lutto (Inglese e Madia 1989).

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