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Maledetta Monongah!

Maledetta Monongah!

di Mario Iaquinta

Novantatrè anni fa, trenta minatori sangiovannesi persero la vita nelle miniere del West Virginia.

La grave crisi socio-economica che il paese di San Giovanni in Fiore viveva sul finire dell'Ottocento e gli inizi del Novecento era delle più disastrose e, l'unica soluzione possibile, per porvi rimedio, sembrava essere quella di emigrare negli Stati Uniti d'America.

Già sul finire, dell'Ottocento era iniziato il grande esodo migratorio transoceanico. Il nuovo continente rappresentava, per l'intera popolazione del nostro paese, la terra della speranza, della libertà e del benessere che, attraverso il lavoro, poteva far raggiungere quella tanto agognata agiatezza economica.

L'America simboleggiava dunque, in quel periodo ciò che a partire dal 1950, poi avrebbero rappresentato paesi europei come la Germania, la Francia e la Svizzera.

I risultati ottenuti in termini economici dai primi emigrati sangiovannesi, una volta rientrati a San Giovanni in Fiore dopo una breve permanenza in America furono di stimolo per tutti i concittadini che erano rimasti in paese. Difatti, al loro ritorno, questi potevano realizzare una casa dignitosa e comprare un pezzo di terra da coltivare. Ma la cosa più importante era quella di non dover lavorare più sotto padrone.

Così il sogno nel cassetto per tutti i giovani di San Giovanni in Fiore, divenne quello di poter raggiungere a tutti i costi, la mitica terra d'America.

Oltre cinquemila unità di forza lavoro, partirono a cavallo dei due secoli e, proprio in quel periodo, il 70% delle famiglie del nostro paese contava almeno un congiunto emigrato in Usa. La stragrande maggioranza di questi era composta da braccianti e da contadini, di conseguenza per la maggior parte di loro, non avendo un mestiere alle spalle, la destinazione era quella delle miniere del West Virginia.

Emigrazione in America

Emigranti in attesa dell'imbarco nel porto di Napoli


In paese si creò un fermento tale che ogni lavoratore scriveva al parente o all'amico emigrato per ottenere anche lui un contratto di lavoro. I pochi commercianti del paese iniziarono a riempire i propri magazzini di viveri, poiché cominciavano ad affluire le rimesse dei cosiddetti "Mericani".

Giovanni De Paola, aprì la prima agenzia di viaggi in paese, rappresentando la Compagnia di navigazione "Italia" e spesso anticipava lui stesso il denaro per il viaggio a qualche emigrante amico; ma anche le famiglie benestanti di San Giovanni si prodigarono in tal senso. Addirittura molti di questi benestanti gestivano per alcuni di loro il denaro che gli emigrati una volta oltreoceano inviavano depositandolo presso le "Regie Poste" o in Banca o facendo affari concordati con gli interessati per corrispondenza. La vita, però, ci ha insegnato che non tutti abbiamo lo stesso destino e che possiamo sognare quanto vogliamo, ma non è detto che ciò che si sogna si realizza.

Infatti, alle 10,30 dì venerdì 6 dicembre 1907 a Monongah, cittadina mineraria di 3000 abitanti in West Virginia, nelle miniere n°6 e 8 della Fairomount Coal Company; avvenne una esplosione di gas che provocò la morte di oltre 350 minatori. La catastrofe causò 250 vedove e più di mille orfani. Trenta minatori sangiovannesi si trovarono coinvolti nella tragedia e con loro le rispettive famiglie.

II sogno americano fu infranto velocemente, in un boato, nella più grande sciagura mai capitata a cittadini di San Giovanni in Fiore.

La catastrofe sconvolse l'intera America. I giornali "La voce del Popolo" e "Il Bollettino della Sera" riportano la notizia a caratteri cubitali, seguita dall'elenco dei morti e da una elencazione di iniziative mirate a fornire assistenza ai familiari delle vittime, attraverso un comitato appositamente istituito.

La Fairmount Coal Company fece in modo che le famiglie dei caduti potessero continuare ad abitare - gratuitamente - nelle case della Compagnia fino a quando non si trovavano nuove destinazioni.

Il Comitato cercò di coinvolgere le comunità italiane sull'intero continente americano, al fine di raccogliere fondi da destinare alle famiglie delle vittime della miniera.

L'intento era di donare 300 dollari ad ogni vedova e 100 dollari ad ogni orfano al di sottoo dei sedici anni di età. Il Comitato che era presieduto dal sindaco di Monongah si proponeva anche di provvedere ai genitori anziani delle vittime celibi. Molte delle famiglie ivi residenti chiesero di ritornare in Italia; altre di trovare una comunità dove potersi guadagnare da vivere.

Soprattutto il nostro paese venne sconvolto dalla sciagura, provocata dall'immane catastrofe, al punto tale che per un certo periodo non si emigrò più e gli Stati Uniti d'America venivano visti come la terra della morte proprio come era stata definita Monongah in un titolo del giornale italo-americano "Il Bollettino della Sera".

Non sappiamo quante di quelle famiglie siano rimaste in America dopo l'esplosione della miniera e quante, invece, fecero ritorno in Patria. Sappiamo solo che quei lavoratori, partiti da San Giovanni in Fiore ed imbarcatisi a Napoli, per quaranta giorni attraversarono l'Oceano Atlantico su navi fatiscenti, per approdare al porto di New York, portandosi dietro solo la forza della braccia ed in tasca un sogno da realizzare, un sogno che avrebbe dato loro e ai propri familiari la felicità, non sapendo però quello che gli sarebbe accaduto di li a poco...e, "nel momento stesso in cui lo seppero, cessarono di saperlo".

Mario Iaquinta

Questo articolo apparve su "Il Corriere della Sila" ben tre anni prima del ben manovrato "Scoop" di Mimmo Porpiglia su "la Gente d'Italia".


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