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L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia

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L'inquieta alleanza tra psicopatologia e antropologia

Resto convinto che la psicopatologia rappresenti anche un punto di osservazione privilegiato per la comprensione dell'antropologia sociale, poiché in essa tutti i codici di funzionamento vitale della collettività vengono sollecitati e messi in discussione.

Per riuscire a far ciò è necessario procedere per linee concentriche e per strati progressivamente più profondi, ricercando la consonanza tra le storie cliniche singolari e la storia sociale collettiva.

L'aratro - Gerardo Civenti

L'analisi ravvicinata del disturbo psichico permette di illuminare anche i lati oscuri della collettività, i momenti specifici di rischio esistenziale che si sprigionano a causa di trasformazioni economiche, sociali e culturali. Lungo questa direttrice si tratta di individuare quei tratti culturali specifici in grado di agire in funzione patogenica o patoplastica, oppure al contrario, capaci di funzionare come elementi protettivi e reintegrativi.

Il rapporto clinico con i pazienti di questo territorio si è svolto nella costante considerazione della corrispondente cultura d'appartenenza.

Ciò rende possibile il riconoscimento e la determinazione dell'influsso specifico che l'organizzazione sociale, la visione del mondo, i costumi, i modi concreti di sopravvivenza, le configurazioni dell'immaginario individuale e collettivo esercitano sul divenire morboso dell'individuo.

I modelli culturali e la struttura sociale continuano a fornire agli individui una particolare alimentazione ideologica anche nel momento in cui lo stato di malattia apparentemente li distacca dal contesto di riferimento.

In base a tale considerazione il metodo psichiatrico è obbligato a dilatare la propria griglia interpretativa giungendo a comprendervi la dialettica uomo-cultura-natura comunque soggiacente ad ogni inequivocabile manifestazione psicopatologica.

Un metodo siffatto instaura un'incessante corrente conoscitiva tra l'osservatore e il contesto globale, lungo la quale corre la scoperta che tutte le società organizzano intorno ai propri membri una rete protettiva che difende l'individuo dalle ricorrenti crisi di trasformazione, e che fornisce riconoscibili tecniche per la sua reintegrazione in seno al gruppo.

Ad esempio, nel corso di manifestazioni deliranti il contenuto del pensiero attinge alle rappresentazioni e alle credenze collettive permettendo di individuare lo stato culturale del gruppo di riferimento proprio a partire dall'analisi tematica e formale della psicopatologia individuale.

Per questa via è possibile anche riconoscere il fatto che l'individuo può costituirsi come condensato degli stati mentali, attuali e potenziali, del gruppo in questione.

Il flusso comunicativo tra individuo e gruppo risulta altresì intensificato e gli scambi simbolici, all'interno del sistema considerato, si mantengono attivi, seppur perturbati.

Il senso delle comunicazioni mantiene il proprio movimento pendolare dall'individuo al gruppo, e viceversa. Tutto il gruppo opera una sorta di condivisione delle eventuali neoformazioni tematiche a tutto vantaggio della diffusibilità di eventuali contenuti latenti e perturbanti.

Una volta riconosciuta in questo contesto tale dinamica si ricava l'impressione di trovarsi parzialmente di fronte ad una tecnica non segregatrice della logica delirante, anche se non viene esclusa del tutto la possibilità che la comunità costringa il paziente nella solitudine o lo reprima per mezzo dell'abbandono all'istituzione psichiatrica.

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