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In Italia c'è una macchina che non cammina, ma costa cara. È la Bossi-Fini: il complesso meccanismo di contrasto all'immigrazione irregolare, fatto di espulsioni, Cie e reato di clandestinità, non ha infatti mai girato a pieni regimi. I numeri stanno lì a dimostrarlo. Partiamo dal reato-manifesto introdotto nel 2009: dalla procura di Agrigento (ora impegnata con i sopravvissuti di Lampedusa) si ricorda che dall'entrata in vigore del reato di immigrazione clandestina nella sola Città dei Templi sono stati aperti 511 fascicoli, per 12.867 indagati. Un lavoro immane e costoso. Contro il reato l'ufficio giudiziario, guidato da Renato Di Natale, ha sollevato infatti eccezione di costituzionalità, rigettata però dalla Suprema Corte nel 2011. I pm hanno poi richiesto l'archiviazione per gli indagati, puntualmente rigettata dal giudice di pace che ha invece imposto l'imputazione coatta con successiva condanna: una sanzione amministrativa di 5.000 euro. Peccato che ad Agrigento nessuno ricordi che ne sia stata mai pagata una. In compenso sono lievitati i costi e l'impegno di uomini e mezzi per identificazioni, notifiche, processi, traduzioni e la parcella degli avvocati, che sono sempre d'ufficio e quindi a carico dello Stato. RIMPATRI COL CONTAGOCCE Oggi in Italia solo il 28% dei rintracciati in posizione irregolare viene espulso, contro il 49% del 2003. Un calo dovuto in parte alla sentenza del 2004 della Corte costituzionale, che ha sbarrato la strada ai rimpatri senza un preventivo controllo da parte di un magistrato. IL REATO BLUFF I CIE COLABRODO I COSTI PER LO STATO Il numero di domande di trattenimento di irregolari presentate dalle questure che non hanno Cie sul proprio territorio è di gran lunga superiore ai posti disponibili. Dal 2003 a oggi la quota di richieste non evase è stata non solo superiore alla metà, ma pari a tre quarti. Si capisce allora perché l'espulsione in Italia è diventata una sorta di roulette. Vladimiro Polchi per La Repubblica, 10/10/2013
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