Proponibilità e ricollocazione geografica del Meridione d'Italia

di EMILIANO MORRONE

Arte Mediterranea: ARTE FLORENSE : Incatenato  Giuseppe DE MARCO © 2003 Copyright

ARTE FLORENSE

Incatenato

Giuseppe DE MARCO - copyright © 2003


Partiamo dalla musica. Rino, Raiss, degli Almamegretta, con voce potente e mediterranea, canta e dice del Sud, specie in un brano che, per intensità e colore, dei suoni e delle parole, vanifica ogni sterile accademia sul Mezzogiorno. Allude alla febbre, usa termini come "sangue", "vene", "fronte".

Fra altri documenti, sempre musicali, si scopre una specie di diario del giovane Voltarelli, appena universitario a Bologna. Il cantante del Parto scrive, in Quattro racconti al dottor Cacciatutto, di un ossessivo orgoglio d'appartenenza. Si sentiva profondamente meridionale e, per questo, diverso dai bolognesi e dagli altri studenti. Era un vanto, un pregio, a suo modo un blasone. Voltarelli, che narra in discreto dettaglio i primi passi fuori sede, ammette, più avanti, che le sue convinzioni dipendevano, in realtà, da un inquieto senso di subordinazione.

Ancora Raiss, in un celebre pezzo degli Alma, sottolinea, anche con l'ambiguità d'una voce frusciante, come la gente del Sud sia stata od abbia voluto essere "sempre sotto".

La condizione è forse cambiata? Piergiorgio Giacchè, in Nel Sud, senza bussola, L'ancora del mediterraneo, Napoli, 2002, scrive: "L'Italia è (…) da tempo in prima fila nella ricerca di un passaggio a nord-ovest; ma non si tratta soltanto di una rincorsa storica per non restare 'indietro', ma soprattutto di una ricollocazione geografica che le permetta di non sentirsi fuori". Il libro affronta il tema della improponibilità, dunque della proponibilità, della questione meridionale.

L'avvocato e intellettuale Alfonso Luigi Marra, che ritengo un fine provocatore - in un momento in cui di provocazioni s'avverte l'urgente bisogno - disse, anni fa, che il Sud non decolla perché "la sua anima non è animata dal coraggio"

Prima di discutere delle possibilità di sviluppo, infatti, andrebbe svolta una onesta riflessione sulle vere nostre disgrazie.

Si osserva che nel Mezzogiorno c'è una notevole spesa privata; dunque, il danaro arriva e circola ugualmente. Si deve capire, perciò, in che modo è impiegato il capitale disponibile, si tratti di forme di assistenzialismo, fondi comunitari per l'impresa, statali, regionali od altro. Ci sono, in Nel Sud, senza bussola, delle pagine felici e molto belle sull'attualità della questione meridionale, se questa espressione vogliamo mantenere, oggi connotata diversamente rispetto agli anni di transizione dopo le guerre, rispetto agli anni dell'urbanizzazione, di scelte determinanti dei governi locali e agli anni delle politiche centrali di giusto sostentamento.

L'Unione Europea , la moneta unica, l'ordinamento sopranazionale, ancora trascurato, le grandi strategie delle grandi potenze, la politica dell'Impero, per stracitare Negri, e, più in generale, la rivoluzione occidentale dell'economia e del linguaggio, toccano soprattutto il Sud (e il sud), che fino a ieri l'altro si difendeva con la rassegnazione, il lamento, l'attesa. Io credo che va abbandonato ogni atteggiamento di rinuncia alla propria determinazione. Non si può più mendicare. È necessario avere una visione concreta dei fatti.

Francamente non comprendo, a riguardo, il riformismo generale e generico di Massimo Cacciari, piuttosto diffuso in Italia. In particolare, quando affronta il tema del rapporto fra l'Europa e l'economia direzionata, di là dalle articolate riflessioni sull'utilità di collocarsi entro i processi attivi di un assetto politico-economico senza più confini, Cacciari sembra trascurare il fatto che il Sud è sempre e tragicamente passivo nelle relazioni di potere.

In termini più chiari, l'Europa è vista, sia pure indirettamente, come blocco coeso di forze omogenee, come realtà bella e fatta, bella e pronta. Invece, nonostante tutto, Messina e Catanzaro, tanto per fare un esempio, sono diversissime rispetto a Prato e Lodi o, addirittura, altre città dopo le Alpi.

Il discorso è complesso. Nel merito, con grande semplificazione, è lecito asserire, tuttavia, che il gap culturale, sociale ed economico può essere ricondotto alla scarsissima partecipazione dei soggetti politici - intesi nel senso più ampio - alla cosiddetta ingegneria sociale.

Giovanni Russo parla di schizofrenia del Sud. Se c'è una schizofrenia, in ambito pubblico, significa che non esistono controlli di natura politica, giuridica o razionale.

Scrive Russo: "Comincerei con il caso di San Gregorio Magno nell'avellinese dove, accanto ai vecchi 'container' del dopo terremoto andati facilmente distrutti per la loro struttura in plastica da un incendio in cui sono morti diciannove ricoverati per malattie mentali, era sorto uno stadio costato ventidue miliardi di lire, su cui si sono svolte pochissime partite di calcio ma vi andavano piuttosto a pascolare le pecore".

In pieno disaccordo con Giacchè, che, in qualche modo, riduce a sociologismo la famosa inchiesta dei coniugi Banfield in Lucania, penso che il familismo amorale serve ancora a spiegare, con l'ovvio concorso di fattori altri, la persistente arretratezza del Mezzogiorno. Il Sud non può dirsi evoluto, a mio avviso, per via delle nuove possibilità di produzione e per l'adeguamento di molte famiglie allo standard di vita del ceto medio italiano. Al Sud la vita costa di meno. Il sud (e il Sud) è terra vergine per molti investimenti, anche culturali - si pensi ai programmi di Connected Intelligence a Lisbona, trasformata dopo l'Expo.

Al Sud, però, non ci sono, ancora, su larga scala, delle efficienti strutture socio-sanitarie, formative, culturali. Dovrei affrontare il problema del territorio, della pianificazione e del progetto. Rinvio, per questo, ai lavori di Alberto Ziparo, che, peraltro, in un deciso articolo sul Manifesto del 13 settembre u.s., ha offerto importanti riferimenti circa il rapporto fra abusi, illegalità e interventi (?) sul territorio. Non ci si può illudere con il conforto della statistica. Gli addetti ai lavori lo sanno bene.

Scrive Giovanni Russo: "Come osservava il rapporto del Censis 2001, il Mezzogiorno per la prima volta dà un'immagine di sé in movimento. (…) Il Censis dimostra che la crescita delle imprese è superiore da oltre due anni a quella del Centronord, la disoccupazione è in discesa e le esportazioni sono aumentate di entità e di valore". E, qualche riga dopo, prosegue: "L'autostrada Salerno-Reggio Calabria è ancora, nonostante i lavori di ampliamento, quasi nelle stesse condizioni di cinquant'anni fa".

Riguardo al trasporto ferroviario i terribili ritardi rimangono la regola: la rete, da Napoli in giù, è vecchissima. Attraversa, con la sua lentezza, un paesaggio assolato e variopinto, che rapido passa le trasparenze della costa e la compatta solidarietà degli alti monti. Le attività utili non possono concorrere alla pari con quelle del Centronord, anche a causa del costo del danaro - come ha rilevato più di qualcuno.

C'è un fatto, poi, che sembra non interessare parte dei dirigenti e degli intellettuali meridionali. Le condizioni del sistema sono tali da obbligare alla partenza moltissimi giovani laureati.

Il mondo è cambiato in modo rapidissimo. Questo è vero. È altrettanto vero che, se non è più un dramma emigrare, il Sud non è in grado di bilanciare le perdite di forza lavoro. Senza retorica, non va dimenticato che la Costituzione è cambiata; che le regioni dispongono, sulla carta, di ampia autonomia, seppure alquanto opinabile nei contenuti; che la Toscana, la Liguria, il Veneto e la Lombardia, giusto per esempio, hanno da parecchio una maturità politica, culturale e sociale per gestire le proprie risorse; che, per dirne una, la Regione Calabria, a torto o a ragione, non di rado fa cattiva pubblicità di sé, come nel caso dei concorsi pubblici - pare riservati - dell'agosto 2002 (L'Espresso, 17 ottobre 2002, pag. 17).

È vero che si insiste, per lo sviluppo del Sud, sulle "possibilità taumaturgiche del culto della bellezza". È vero, cioè, che si pensa al turismo come chiave di volta, o di svolta. Non ho mai sopportato strategie a senso unico. Se, parimenti, non c'è una convinta, concreta e corale disamina della dimensione locale - per rubare una felice espressione cara a Stefano De Martin -, il Sud rimarrà soltanto il comodo polo della speculazione.

Partiamo dalla realtà locale, con la nostra identità e le nostre forze, consapevoli che, per andare avanti nel contesto globale, è necessaria una ricostruzione.

È necessario rinunciare ai privilegi, ai favori, ai giochi di complicità.

È necessario seppellire un passato presente fatto di menzogne e silenzi.

Bisogna abituarsi alle regole.

Bisogna responsabilizzarsi, riappropriarsi del politico - giustamente (e sempre) specifico, secondo Ricoeur.

Bisogna agire e reagire.

Ci vuole una nuova dirigenza, che non rimanga immobile; che sappia battersi concretamente, con impegno e sacrificio; che non scenda a patti e che abbia, come tutti, il coraggio di denunciare.

EMILIANO MORRONE

La fuga dei laureati italiani all'estero è un fenomeno di cui spesso si discute senza l'appoggio di dati significativi. Analizzando i flussi di laureati italiani che vanno all'estero il fenomeno appare drammatico e in crescita. Mentre all'inizio degli anni 90 meno dello 1% dei nuovi laureati emigrava all'estero, alla fine degli anni 90 circa il 4% dei nuovi laureati lascia l'italia. [...]la percentuale di laureati che lascia il paese e’ quindi quadruplicata tra il 1990 e il 1999
FONTE: "How Large is the Brain Drain from Italy?" (Becker, Ichino and Peri 2002)

RADICI


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